UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La scuola cambia davvero soltanto se punta su autonomia e parità

Intervista a Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà
23 Novembre 2016

«In tutto il mondo sul tema dell’educazione si va verso un potenziamento di autonomia e parità. È arrivato il tempo cha anche l’Italia proceda su questa strada con maggior coraggio». Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà ha le idee chiare su come aiutare il nostro Paese.

Nel volume Far crescere la persona, della Fondazione e da lei curato, si parla di una scuola che fatica a tenere il passo con il mondo che cambia. Quanto fatica?

Direi tanto. Siamo ancora legati a una antica concezione di scuola che deve «trasmettere nozioni». Ma studi scientifici recenti, come quello condotto dall’americano James J. Heckman (pubblicati in un volume in uscita in Italia per il Mulino), hanno dimostrato che il miglior apprendimento non è quello che si basa sul passaggio di nozioni, ma quello che ha la capacità di guardare anche ad altri aspetti della personalità dello studente: la responsabilità, la stabilità emotiva, l’essere coscienziosi, il saper relazionarsi con gli altri, e potremmo continuare. Aspetti che restano nella nostra scuola ancora relegati in un angolo. Anzi spesso questo approccio è stato bollato come «cattolico», ma ora è molto più evidente l’aspetto totalmente laico.

In tutto questo i docenti che ruolo hanno?

Sono fondamentali. Passa attraverso di loro la capacità di essere attrattivi e coinvolgenti con i loro studenti. A volte mi viene da pensare che una parte degli abbandoni scolastici nascano anche dal mancato incontro con docenti capaci di suscitare interesse.

Però questa capacità non rientra nel percorso di formazione degli aspiranti professori.

È vero. Nel volume Far crescere la persona un saggio della pedagogista Susanna Mantovani pone proprio la questione. È necessario che i docenti non siano solo «trasmettitori di nozioni», ma siano capaci di empatia con i propri studenti.

Aver stabilizzato decine di migliaia di docenti può aiutare in tal senso?

È un fatto positivo, anche se siamo ancora in una fase di processo in itinere e non concluso. Del resto pensare di gestire a livello centrale l’intero meccanismo, senza coinvolgere maggiormente il territorio non è stato positivo. In questo il potenziamento dell’autonomia è auspicabile. Nella legge della Buona scuola ci sono tanti principi positivi - come il merito premiato, la scelta diretta di parte dei docenti, l’alternanza scuola-lavoro, per fare qualche esempio -, ma vi sono ancora resistenze.

Quali sono le strategie da mettere in campo?

Più autonomia e vera parità. Nella Buona scuola vi sono passi in avanti. Penso alla lotta ai diplomifici, al riconoscimento di chi investe nella scuola. Oppure al progressivo aumento delle detrazioni fiscali per le famiglie inserite nella Legge di Stabilità.

Che però non cambiano molto la situazione per chi i soldi non li ha e vuole esercitare la libertà di scelta educativa.

E infatti occorre potenziare i fondi per il diritto allo studio proprio per aiutare chi è in difficoltà. Del resto è dimostrato che potenziare autonomia e parità serve a migliorare l’intero sistema scolastico. L’Europa va in questa direzione. Perché l’Italia no?

Ma autonomia e parità sono già leggi dello Stato.

Sono rimaste, però, prigioniere di un dibattito politico e di contrapposizione, che non ha fatto fare il passo avanti su principi comuni. Serve una politica trasversale, capace di cogliere ciò che sta cambiando nel mondo e cerca di attuarlo. La Buona scuola è un primo passaggio e gli strumenti nella Legge di Stabilità sono il secondo. Ma la strada da percorrere ne richiede ulteriori.

Permette una battuta? Lei si sente più sognatore o utopista?

Sono realista. Di quel realismo della volontà. Sono decenni che vado dicendo queste cose. Finalmente vedo l’inizio di un nuovo pensiero sulla scuola.

Enrico Lenzi

Avvenire, 23 novembre 2016